L’emergenza coronavirus segna un prima e un dopo, tante le sfide per la “condivisione” ma vincerle si può. Lo speciale di “Alla Carica!” sulla sharing mobility
di Antonio Cianciullo
“Sharing”. Fino al febbraio scorso questa parola ci proiettava in un mondo amichevole e seduttivo, pensato in inglese (pur disponendo del validissimo “condividere”) perché la dimensione della scommessa è globale. Nelle città più avanzate molti giovani – e anche alcuni diversamente giovani – cominciavano a ritenere di cattivo gusto accumulare oggetti, invece di concentrarsi sulle funzioni assicurate da quegli oggetti, finendo così per occupare molti più spazi e molte più risorse del necessario.
La mentalità sharing si stava diffondendo in varie forme: dalla condivisione di case al tempo (attraverso lo scambio di ore di lavoro) e naturalmente alla mobilità. Perché comprare e gestire mezzi di trasporto privati per le varie esigenze (picchi di traffico, spostamenti quotidiani, vacanze) quando è più facile e conveniente utilizzare flotte con ampia scelta di veicoli che non richiedono manutenzione, bolli, assicurazioni, pagamento di parcheggi?
Dopo il covid19 tutto è cambiato: abbiamo cominciato a guardare con sospetto chi si avvicina a noi senza uno scafandro protettivo e l’idea di “condividere” (questa volta lo pensiamo in italiano) oggetti che individui microbiologicamente sospetti hanno toccato suona molto meno bene. Il crollo della sharing mobility (con le cifre indicate in questo focus) lo dimostra.
Il futuro? Una sfida da vincere in tre mosse
Questi numeri però vanno presi con le molle. Sono inseriti in un contesto temporale segnato dal calo vertiginoso delle vendite di auto e dei movimenti in generale. Dunque è possibile che nell’arco dei prossimi mesi la situazione si riavvicini al trend precedente. Ma il settore può guarire dal coronavirus a tre condizioni.
La prima riguarda gli operatori. E’ la riorganizzazione per assicurare alle flotte in sharing le garanzie sanitarie necessarie. Deve essere un sistema trasparente. E ben pubblicizzato.
La seconda riguarda la politica. L’interruzione imposta dalla pandemia può essere la base per il salto verso una sostenibilità a 360 gradi del sistema. Nel pacchetto del green deal c’erano già gli elementi indispensabili per spostarsi meglio in città: sostegno ai veicoli elettrici; un servizio pubblico efficiente e dignitoso; facilitazioni per la sharing mobility che va potenziata e allargata; più spazio ai pedoni; un capillare sistema di piste ciclabili che garantisca sicurezza a chi si affida alle due ruote; incentivazione dei mezzi per la micromobilità; sviluppo delle Ztl e delle Low Emission Zone. Questi obiettivi erano validi prima, sono ancora più validi oggi perché l’alternativa sarebbe un incremento dell’uso delle auto che aumenterebbe livelli di inquinamento dell’aria che già oggi costano la vita ogni anno a oltre 60 mila persone in Italia.
La terza condizione riguarda tutti noi. Certo, durante la pandemia regole di prudenza sono necessarie, ma il bombardamento degli allarmi può far crescere fobie, la spinta a rifugiarsi in un bunker domestico asettico, considerando il mondo esterno una minaccia e il contatto con i virus un rischio mortale. Mentre il mondo, come ci hanno spiegato i virologi, è popolato di microrganismi che in larga parte ci aiutano a vivere: ognuno di noi nel proprio corpo ne ospita miliardi. Convivere con i virus è necessario e richiede equilibrio fisico e mentale, buone difese immunitarie, un ambiente sano. Tutto ciò è incompatibile con il sistema economico basato sui combustibili fossili e sulla crescita lineare che ha caratterizzato il secolo scorso. Bisogna voltar pagina e non si può farlo da soli: il futuro è in sharing, come l’aria che respiriamo. Con questo focus diamo un piccolo contributo in questa direzione cominciando a condividere le informazioni.